Camminando insieme a Verdi
Lento viaggio nella terra della musica
di Claudio Ferrarini
Parlare di Verdi oggi nel duecentesimo dalla nascita è compito difficile, credo che su Verdi siano stati scritti tanti libri, la sua figura è stata scandagliata in tutte le sue sfaccettature, dalle più complesse alle più semplici.
Dopo essermi fatto una maratona delle sue lettere, dopo aver letto tutto quello che è stato scritto su di lui, mi trovo nella scomoda situazione di voler dire anche la mia, anzi forse quello che sto per raccontarvi riguarda un Verdi tutto mio, pensieri privati, spiati dal profondo del mio cuore. Una figura, quella di Verdi a cui vorrei dare un'anima che circonda la realtà del tempo in cui viviamo, un Verdi fuori dagli schemi tradizionali.
Il mio primo approccio alla sua musica risale all'epoca in cui io iniziavo a studiare la musica classica. Provenendo dal Pop Sinfonico, o Rock progressivo, la figura di Verdi mi irritava, vederlo poi sulle mille lire ancora di più. Avevo una sensazione che la sua musica fosse quanto di più vecchio e stantio ci fosse al mondo. Certo abitare a Parma, "dove esiste il culto verdiano" non rendeva certamente facile la sua comprensione, specialmente quando ci si trova in piena epoca di contestazione. Le prime opere seguite al Teatro Regio non avevano migliorato la mia percezione del suo lavoro e il fanatismo parmigiano impediva l'avvicinamento alla sua musica.
Anche come primo flauto in orchestra al Teatro Regio di Parma la cosa invece di migliorare peggiorava, io ero portato alla musica di Ives, Berstain, Cage, Stravinsky, Debussy, Stokahausen, certamente un mondo lontanissimo da quello verdiano. Imparai ad amarlo a poco a poco, attraverso le letture dei grandi flautisti della mia epoca come Gazzelloni, Rampal, Nicolet. Questa volta abitare vicino a lui era un vantaggio, potevo recarmi sulla terra dove Verdi era nato, aveva camminato, gioito e sofferto.
Qui vicino a Parma a pochi chilometri c'è la sua casa natale a Roncole Verdi, c'è Busseto dove ha iniziato gli studi musicali, Sant'Agata la villa di residenza, che rappresenta una scena che lo vede come primo attore. In questa zona si trovano persone che conservano i ricordi dei parenti che lo avevano conosciuto, qui ho avuto la fortuna di incontrare una sua discendente diretta che abitava a Parma. Grazie agli eredi Carrara Verdi, mi è giunta tra le mani musica che il mio maestro, Severino Gazzelloni, doveva eseguire in disco e in concerto per una grande commemorazione a Busseto. Severino che era oberato di lavoro ed impegni, sapeva che io provenivo da Parma e allora mi affidò il compito di scegliere le musiche del disco il "Salotto Verdiano" da eseguire in concerto. In quel lontano tempo, mi trovavo a Montecatini Terme per seguire il corso tenuto da Gazzelloni. La mia aula di studio si trovava al museo Annigoni, dove c'era il pianoforte su cui Giuseppe Verdi aveva concluso il terzo atto del Rigoletto. Montecatini Terme era un posto dove Verdi amava passare l'estate e, tra bevute e camminate, aveva anche il tempo di concentrarsi sulle sue opere.
In Verdi il concetto del camminare è costantemente presente, quando era giovane percorreva a piedi la strada da Roncole a Busseto, 12 chilometri fra andata e ritorno, per recarsi a scuola, tutte le mattine, anche d'inverno. Questo esercizio lo renderà forte e il camminare sarà sempre un esercizio costante in ogni luogo del mondo che lo ospiterà. La libertà nel camminare, è la libertà di essere nessuno, perché il corpo che cammina ha una sua storia, è un flusso di vita immemorabile. Un divenire con il tutto che ci circonda, si diventa storia, passo dopo passo, e quando ci si volta a guardare il percorso fatto, quasi lo si può toccare con mano. Verdi ha percorso in lungo e largo tutta la terra che circonda Busseto e Sant' Agata, si svegliava presto, e amava correre tra i campi, in mezzo al verde: lunghe passeggiate che gli creavano la concentrazione necessaria per poi scrivere musica. Spesso al suo rientro nello studio metteva giù le idee nate da quelle lunghe passeggiate sulla sua terra.
Quante passeggiate, e quanta musica! Verdi amava passeggiare ovunque, a Milano, Parigi, Londra, Roma, Genova. Nella sua carriera di compositore, poi si spostava con ogni mezzo di locomozione: carrozze, treni, navi. Era un grande appassionato dei treni, delle carrozze a cavallo e di tutto quello che si muoveva a vapore, mentre detestava la nave, forse perché non aveva mai imparato a nuotare e la sua esperienza con l'elemento acqua era sempre stata difficile. In giovane età era finito in un fosso pieno d'acqua, lungo la strada che percorreva tutte le mattine per andare a scuola, fu salvato in extremis da un passante e rimase sconvolto da questa brutta esperienza. Così come molte anni dopo, quando era già diventato il grande Verdi, a Sant'Agata, durante una gita sul laghetto davanti alla villa, cadde dalla sua barca, e fu preso per i capelli, dal suo amico Corticelli.
Forse proprio in questa diversità di approccio sta la grande differenza tra Wagner e Verdi, infatti, come dice Nietzsche: "Nella musica di Wagner si annega, è un marasma sonoro, bisogna nuotarci di continuo, ti sommerge come un'onda implacabile, imprevedibile, quando ci si concentra per l'ascolto si perde la bussola". Verdi invece è un uomo della bassa parmense, uomo di nebbia e zolla, concreto fino ad anticipare il verismo, crudo ma reale, efficace e sincero. Magari proprio per questo i suoi personaggi sono sempre condottieri di terra, o donne con radici ben piantate nella realtà quotidiana, Verdi ama la terra sotto i piedi, per questo adora camminare. Camminare, infatti ci mette sulla verticale dell'asse della vita: travolti dal torrente di terra che scaturisce immediatamente sotto i nostri piedi. Con ciò intendo dire che Verdi, camminando, va incontro a se stesso, come se si ritrovasse, si liberasse dalle vecchie alienazioni per conquistare un sé autentico, un'identità perduta. Camminando, dominando il mondo e gli uomini, compone all'aria aperta, immagina, scopre, si esalta si sgomenta di ciò che trova, sconvolto e conquistato da ciò che gli capita durante le sue passeggiate, si sottrae all'idea stessa d'identità, alla tentazione di essere qualcuno, di avere un nome e una storia.
Verdi ha sempre cercato di fuggire la notorietà, non ha mai rincorso salotti o associazioni elitarie, essere qualcuno va bene per le serate mondane, dove ciascuno racconta di sé. La libertà di calpestare la sua terra, è libertà di essere nessuno, di essere un unicum con il luogo che ti circonda e dare libertà a quelle melodie che nascono nella sua anima, liberare tutte quelle armonie, che si affilano nella sua mente: è il suo modo di creare musica. Il corpo sonoro era legato con il suo procedere con i piedi, legame che ha sempre messo in pratica, perché il corpo che cammina non ha storia, soltanto flusso di vita immemorabile. A Verdi venne la nomina di "selvatico" proprio per la sua innata libertà del camminare, si costruì la sua carriera con la volontà dell'agricoltore, quell'autonomia nella noncuranza, l'ostinata volontà di guardare solo i suoi "piedi e la sua terra". Verdi come tutti i contadini della bassa dava poca confidenza, era abituato ad affrontare tutto sulle sue spalle, e quando doveva chiedere, era sempre particolarmente restio a farlo.
La prudenza del "contadino delle Roncole" lo faceva pensare ad accantonare i redditi delle sue opere liriche, perché pensava che dopo dieci anni dalla sua scomparsa le sue musiche non sarebbero mai più state eseguite. Questa sensazione di "non permanenza" su questa terra è una cosa che mi appartiene e, come per Verdi, camminare mi distrae dal lavoro, è un esercizio che permette al corpo di ritemprarsi dopo essere rimasto seduto, curvo, spezzato in due dal respiro dello studio del flauto. La marcia è condizione di creazione, è il suo vero e proprio "elemento fondamentale". "Noi non siamo quelli che riescono a pensare solo in mezzo a libri, sotto la scossa della cultura, è consuetudine pensare all'aria aperta, camminando, saltando, danzando preferibilmente in mezzo alla natura, solitari, là dove sono le vie stesse a farsi meditabonde". Molti compositori hanno scritto le loro opere liriche, a partire dalla lettura del libretto, o da testi che sanno del chiuso di biblioteche. Troppe opere liriche odorano dell'aria greve delle sale di letture, o di studi privi di luce e poco aerati. L'aria circola male tra gli scaffali, e si carica della muffa di decomposizione della carta, si riempie di miasmi. Verdi crea all'aperto, tra una camminata e l'altra il contatto con la sua terra lo rende fecondo, l'aria viva dell'esterno, il vento, il fiume Po, quella brezza gelida, il soffio che schiaffeggia il volto nelle gelide mattine d'inverno, che penetra nel tabarro, quando l'aria fresca dei sentieri, bordati da pioppi è attraversata dai profumi di casa. "Oh, come siamo rapiti nell'indovinare in che modo quel tale è pervenuto ai suoi pensieri, se stando a sedere, davanti al calamaio, col ventre sottoposto a compressione, col capo ricurvo sulla carta, come si fa presto a liquidare questo modo di comporre. I visceri costretti in una morsa ti tradiscono, ci si può scommettere, così come ti tradisce l'atmosfera della stanza, il suo soffio, la sua strettezza". Io come Verdi ricerco la luce, l'accumulo, e sovrapposizione continua di volumi di colori, quella fantastica sensazione che è la pianura padana, nessuna barriera tra te e la luce. La luce riflette il sole, e i colori entrano liberamente nei tuoi occhi.
Verdi è sincero nella sua musica, crudo alla disperazione, ma pieno d'amore, tutto è sovraccarico di rimandi a quel suo camminare quotidiano. Bisognerebbe parlare del corpo di Verdi, le mani, i piedi, le spalle. A differenza di molti compositori, Verdi non è mai curvo sulla sua musica, il suo corpo che cammina è sciolto e teso come un arco: aperto ai grandi spazi come il fiore al sole. Il petto in fuori, le gambe tese, le braccia spalancate. Le opere liriche dei suoi contemporanei sono prigioniere delle loro pareti, inchiodate alle loro poltrone. Verdi compone camminando, così come Bach, libero da vincoli, il suo pensiero non è mai schiavo di libretti o volumi, non rende conto a nessuno, se non al suo ritmo metrico. Soltanto pensare e camminare, giudicare e camminare, decidere e camminare. È un pensiero creativo che nasce dal movimento, da uno slancio. In esso si ritrova l'elasticità del corpo sonoro, il movimento di danza, quella scrittura che molti definiscono "bandistica", ma che io preferisco chiamare "popolare". Lo scrivere di Verdi è come una nuova concezione del melodramma, dal Nabucco in avanti, Verdi si distanzia radicalmente dalle leggi poetiche del suo tempo, disegnando un inedito universo con nuovi pianeti, nuovi astri, nuove costellazioni di note. L'armonia del "musico contadino", non obbedisce ad alcuna guida prestabilita, teorica o formale, a nessuna necessità di concatenazione, sviluppandosi liberamente come un suono che nasce dai suoi passi, inventa ogni volta sè stesso, nel gioco ritmato che è la sua vita, iniziata con la perdita di due figli e una moglie. Con un anelito drammatico e cosmico Verdi ha scandagliato il suo cammino, attraverso i suoni della possibilità, quella comunione, in loro mai raggiunta, ma sempre agognata. E l'Anima Mundi, l'armonia del suo piccolo cosmo, l'unione degli opposti, per loro un paradosso inconciliabile: una lotta, un sogno, un enigma, scandagliato con le unghie di quel "contadino della bassa", in una malinconia delicata, sognante, come il Falstaff. L'ultima fatica di quei piedi quasi centenari, un canto lirico della solitudine, la tensione di un irraggiungibile infinito, la coscienza di una frattura con il suo camminare. Il decidere di non comporre più, coincide con il non poter più camminare liberamente quando ormai le gambe non lo reggono.
La coscienza di una frattura, macererà il suo cuore, senza più il gesto armonioso del camminare nei suoi campi, quella terra che lo vede proprietario di 700.000 are; si infrange come un motore a vapore senza acqua. In Traviata e nel Rigoletto, troviamo Verdi in movimento, uno slancio continuo, con quella elasticità del suo corpo che lo portava a lunghe e interminabili camminate, a coltivare il suo orto, a curare i suoi animali, i frutti, fu il primo agricoltore a promuovere la coltivazione dei cachi provenienti dal Giappone, e diffuse questa coltivazione in tutta la bassa parmense. Lui uomo della terra e del camminare, del fare, adorava vivere in mezzo ai suoi paesani che sapevano a memoria tutti i più bei brani delle sue opere, a Busseto la mietitura si accompagnava ai coro di Rigoletto e Traviata. Verdi come tutti i contadini non vuole perdere le sue radici: seminare, recidere, zappare, raccoglier, questo era il fascino e la fatica del lavoro, in questa veste il giovane Claude Debussy, allora in Italia come vincitore del Prix de Rome, lo poté incontrare. Verdi era intento a piantare delle gambe d'insalata, quando Debussy giunse a Busseto per incontrare il grande Maestro, e non riusciva a credere che quel contadino con cappello da sole, grembiule, stivali e zappa fosse proprio Verdi. Il grande Maestro si rallegrò con il giovane Debussy per la sua vittoria al prestigioso premio de Rome: "siete fortunato, io invece non ho avuto nessun premio dal Conservatorio di Milano, che mi ha procurato soltanto dolori e molti nemici. Comunque sono ancora vivo e continuo a piantare l'insalata del mio giardino". L'occupazione prediletta di Verdi era di fare il fattore, s'intendeva di raccolti, di bestiame, la terra non aveva segreti e il suo contatto consisteva proprio nell'avere i piedi sempre su quel suolo. I fattori dei dintorni lo consideravano un autorità in materia di coltivazione del terreno, e lo consultavano sulla rotazione delle semenze e sull'allevamento del bestiame. Quando stava troppo tempo lontano dalla sua terra sentiva una certa malinconia, era uomo e compositore tale da stare all'aperto, non rinchiuso dietro scrivanie, la sua composizione nasce intera nella sua mente e le passeggiate servono a schiarire le melodie che scaturivano pulite e sincere, correggeva poco sulla partitura, tutto fluiva come un ruscello sul pentagramma. Il suo pensiero musicale nasce dal suo camminare e sprigiona energia come il balzo del corpo. Pensare e camminare, senza l'interferenza, la nebulosità, lo sbarramento: la scommessa è proprio questa, più il pensiero è lieve, più s'innalza e diventa profondo, perché è elevato vertiginosamente a perpendicolo sui panni viscosi delle convenzioni, dell'opinione diffusa, del sapere istituito.
Verdi non è compositore da biblioteche, superficiale e pesante, è compositore in cammino, pensando, che la scrittura sia soltanto pausa leggera così come il corpo nella marcia si riposa grazie alla contemplazione dei grandi spazi. Verdi è compositore che elogia il piede,non si scrive solo con la mano sul pianoforte "anche il piede vuole scrivere sempre". Il piede di Verdi è testimone eccellente, forse il più sicuro. Bisogna sapere se ascoltando il piede "drizza l'orecchio" perché in Verdi il piede ascolta, come nelle zingarelle della Traviata canzone di danza, "le dita dei miei piedi erano attente per udirti: perché colui che danza porta l'orecchio...in quelle dita!". Sapere se freme di piacere alla lettura perché invitato alla danza. Per giudicare la qualità di una musica bisogna fidarsi del piede. Se ascoltando, al piede viene voglia di mettersi a segnare il tempo, di pigiare la terra per balzare, è buon segno. A Verdi il suo "zum-pa-pa" costò amare sofferenze, ogni musica è un invito alla leggerezza. La musica di Wagner deprime il piede: lo spaventa, esso non sa più dove mettersi. Peggio ancora, s'infiacchisce, si trascina, gira da ogni parte e si irrita. Ascoltando Wagner, come dirà nei suoi ultimi scritti Nietzsche, è impossibile provare il desiderio di danzare, perché si viene trascinati in meandri di Musica che vorticano, torrenti indefiniti, slanci confusi. "Non respiro più con facilità quando questa musica comincia ad agire si di me; subito il mio piede va in collera, e si rivolta contro di essa; esso ha bisogno di ritmo, di danza, di marcia....il mio piede esige della musica soprattutto le estasi che sono insite nella buona andatura". Verdi camminava al mattino presto e al pomeriggio prima di cena, scarabocchiava qui e là ciò che è corpo in marcia, che si confrontava col cielo della bassa del fiume Po, con il mare a Genova, con i tigli dei boulevard a Parigi. Verdi è un viandante che ama la pianura, perché non ha confini, e lì il suo piede non riesce a fermarsi, e quali siano i destini, e le esperienze le troverà camminando e vivendo, vi sarà sempre in esse un peregrinare con sè stessi. Camminare e passeggiare, per Verdi è soprattutto innalzarsi, arrampicarsi, salire sull'idea che gli nasce nell'intimo del suo "io". Lungo il fiume Po, la pianura invita il corpo che cammina alla dolcezza, al languore, e risalgono ricordi come un movimento di nebbia,l'aria è più viva, ma soprattutto secca, trasparente. Il pensiero è tagliente, il corpo è desto, fremente.
Non potranno esserci, dunque ricordi che risalgono, ma giudizi che calano: diagnosi trovate, incisi, fughe e ritornelli. Il corpo segue le insenature del fiume, è in tensione continua, aiuta il pensiero nella sua ricerca: ancora un po' più in lá, un po' più su. Non bisogna abbandonarsi, occorre mobilitare l'energia per avanzare tra i pioppi, posare con fermezza il piede, e alzare il corpo lentamente, per ristabilire l'equilibrio. Così il pensiero musicale: un'idea che permette d'innalzarsi ancor più verso l'incredibile, l'inaudito, il nuovo. L'anima musicale di Verdi dopo una camminata vuole essere il luogo dell'unità, lo spazio dell'armonia: l'inno dei suoni al mistero della natura in una dolce unità. Verdi volle essere nelle sue opere liriche, uno specchio levigatissimo che riflette il fascino del mondo, in una musica che celebra l'equilibrio degli elementi. Sono così perfette le forme della natura. È così grazioso il disegno degli alberi, l'arabesco delle foglie. È così bello lo spazio della campagna, il colore del cielo, il profumo del vento, il chiarore della luna. Sono così preziose le forme dell'esistenza: i toni scintillanti della primavera, il ritmo delle onde, le bianche vele sullo specchio del mare, il profilo sinuoso delle colline, i cristalli silenziosi della neve, i riflessi sull'acqua, il suono delle campane attraverso l'eco delle foglie. quale armonia, quale grazia, quale felicità, si manifestano nel nel forme del movimento, del camminare, nella metamorfosi di tutte le cose. Nel dialogo silenzioso o canoro dell'intero universo...
Questo è il mio cammino con Verdi all'aria aperta, abbandonando il proprio io e le sue angoscie, evitando la pesantezza e i dubbi dell'interiorità. Per ricoprire la superficie, la leggerezza, la mobilità, l'eleganza, la danza gioiosa delle forme del "libiam ai lieti calici". Di questo camminare condivido con Verdi un tessuto sonoro sempre aereo e sottile, frizzante come il suo amato "lambrusco" e morbido come i freschi "tortelli", in quel magico paesaggio della bassa parmense dove è facile il "levarsi di liquide lentezze" e l'affiorare "in sillabe d'acqua, come un significativo divenire".
creato: | martedì 14 gennaio 2014 |
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modificato: | martedì 14 gennaio 2014 |