Libretto di Lavinia Fuggita
LAVINIA FUGGITA. Opera da camera in un prologo e sette scene di Matteo d'Amico.
Liberamente tratto dall'omonimo racconto di Anna Banti
Lavinia, soprano
Orsola, soprano
Angelica, soprano
Zanetta, soprano
PRELUDIO E PRIMA ARIA DI LAVINIA
PRIORA
Desbrigheve, xe tardi - Sé pronte, pute? - Corè, movève, fé presto
CORO FEMMINILE
(ridenti, una sull’altra, scherzose, eccitate: una pioggerella di ormoni)
Ohe, voga, voga bel fio, vien, voga - Chje rissi ch’el ga - Mori come gli oci - I xe in tre - Tre d’amòr - Tasi, mata - Xe iu? Dasseno! - Varda, el par un sol! Iseppo! - Dame lo specio - Vardighe gli oci. Neri, che grandi - Quante barche? Tre. Risso come ti - Fati uno par l’altra!
(Una vela turchesca si avvicina a Venezia, attraversando una laguna nebbiosa, silenziosissima, come un sipario immateriale; si muove leggera, ogni tanto la si perde e poi riaffiora. Quando la si perde, dal bianco latteo della nebbia emerge una macchia rossa, che alla fine del racconto si rivedrà più nitidamente: è il quaderno di musica appartenuto a Lavinia. Ma ora può sembrare anche un pezzo di stoffa scarlatta, zuppa d’acqua: quello che avvolgeva Lavinia appena nata.
Su queste immagini naviga vagabonda una melopea d’oriente – come un “tema della vela” – che contiene in sé un richiamo dolcissimo, ma anche una minaccia, un’ombra.)
LAVINIA
(almeno inizialmente, fuori scena)
Il vento, un viaggio, il mare, la mia culla, una nave.
La schiuma del mare, uno straccio, una vela.
In un villaggio d’oriente m’attende mia madre,
che non ho visto mai. Di là da questo mare
la mia luna, la terra che non conosco, la mia storia.
Diversa. Anche quando stava con noi, abitava un altro mondo, il suo, lontana. Lavinia, Lavinia Domineddio: le hanno dato questo nome latino e cristiano, ma veniva da altre parti del mondo, quali non lo sapeva nemmeno lei. Verso oriente, al di là del mare. Alzava un braccio, svagata, bellissima.
Domineddio, si usa così con i figli di nessuno, che nessuno dice: è mio.
Come me, una puta dell’Ospedale della Pietà di Venezia, lasciata di notte sulla porta di quel convento davanti alla Laguna, e cresciuta lì fino all’età da marito, se lo trovavamo; io l’ho trovato… Un orfanotrofio, uno dei tanti, però più famoso, perché lì inventava musica il maestro Antonio Vivaldi. Uscivamo poco, solo nei giorni di festa, come quel giorno.
SCENA PRIMA: LA PIETÀ
PRIORA
(la sua voce esce dal coro, con energia; sembra contare le sue ‘pute’)
Orsola, Martina, Zanetta, Angelica, Tòdara, Ignazia!… manca una! Cerchéla!
(con irritazione)
Cerchéla! No' cambia mai.
CORO
Paròna, rivemo – Lavinia, l’avè vista? – Bate le diexe, dai! – In camara no. In ciesa? No. Sarà a far musica, studia sempre! Cercala!
CORO
(tutte cercano Lavinia)
Lavinia, Lavinia, Lavinia, xe ora, dài, basta studiar – Lavinia vien so, xe ora. Che susto, che boria, che mutria, sempre compagna! Sempre invarigola! Vien fora, le barche ne speta, coi fioi! Ti manchi solo ti, no far dispeti! Orsola, va in giro, cércala, varda dapertuto, ciamala, Orsola vai!, ciamia, prova de novo, dai! Lavinia, Lavinia, Lavinia!
ORSOLA
Giorni di visita, giorno di festa. “Nata di domenica ride sempre”, ti dicevo: non ridevi mai. E dove sei nata, la domenica non fanno festa.
Noi tutte pronte, le barche arrivate per prenderci, i ragazzi che remano, manchi solo tu, so dove trovarti, dopo la scala che porta all’altana, sopra la stanza della lavanderia, più in alto ancora: solo tu avevi il coraggio di entrare nello studio riservatissimo del maestro Vivaldi. Avevi rubato una copia della chiave. Scrivevi musica, per te, per me, dimenticavi il tempo, non ti stancavi mai.
SCENA SECONDA: LE PUTE
ANGELICA, ZANETTA, MARTINA
(con un certo affanno, cercandola e salendo una scala; battono tre colpi alla porta, la spingono, è aperta; Martina è l’ultima delle tre, la prima è Angelica)
Lavinia, Lavinia, Lavinia.
(Lavinia è in una stanza, da sola, segretamente. È la stanza da musica di Antonio Vivaldi: partiture, fogli sparsi, una spinetta, dei violini: un mondo.)
ANGELICA
Eccoti, sempre qui! Non puoi,
non si può qui da don Antonio.
ZANETTA
Vieni, ci aspettano.
MARTINA
(la più giovane, quasi una bambina, così eccitata e incantata da quella avventura)
Mai stata qui! Come è bello!
(Tocca qualche tasto della spinetta e intona una melodia
vivaldiana; Angelica si avvicina a Lavinia e osserva i suoi fogli di musica.)
ANGELICA
Non ti basta Vivaldi, non ti basta?!
Nella sua stanza è proibito entrare.
Ti xe proprio una turca!
ZANETTA
C’è il concerto, dobbiamo cantare tutte,
sbrighiamoci. Vieni!
ANGELICA
Ma le piace farsi pregare.
Se ti vede la Priora!
(Orsola tace, è a lei che Lavinia porge per prima i fogli di musica.)
LAVINIA
(irridente, per nulla preoccupata, divertita)
Il concerto?… ecco il concerto,
per voi.
(a Orsola:)
È il mio ritratto.
(a tutte:)
Musica di Vivaldi, tutta. Quasi.
ANGELICA
Non c’è tempo, adesso.
ORSOLA
Guardiamola, un momento solo.
(Orsola distribuisce le parti alle altre pute. Lavinia comincia a cantare, a memoria; le altre seguono.)
LAVINIA
(come dando il la)
Io, fra remote sponde…
(tutte, dapprima senza poi con Lavinia; non cantano subito perfettamente; stonano, solfeggiano male, e quando sbagliano le ragazze sorridono dei loro errori; fino a quando la linea melodica non prende il giusto passo)
Andrò chiedendo ai sassi,
La Madre mia dov’è?
Dall’una all’altra aurora
Te andrò chiamando ognora;
E tu chi sa se mai,
Ti sovverrai di me?
(Le ragazze rimangono incantate dalla bellezza dell’aria.)
SCENA TERZA: DUETTO LAVINIA E ORSOLA
PRIORA
(da fuori scena, come un grido)
Penitenza per le ultime! Un mese di cucina!
(Le ragazze smettono di colpo di cantare; Angelica e Martina si precipitano giù per la scala, inciampano su un gradino ballerino. Orsola e Lavinia rimangono.)
ORSOLA
Che scherzi da stupida! Se
il maestro se ne accorge!
LAVINIA
(sempre con il suo atteggiamento piuttosto irridente)
E tu chi sa se mai,
Ti sovverrai di me?
ORSOLA
(la rabbia le passa presto, sorridente)
Mi sovverrò, mi sovverrò!
Ma dove vai, chi sa se mai?
LAVINIA
Andrò chiedendo ai sassi
La madre mia dov’è?
ORSOLA
(guardando la musica scritta da Lavinia)
È la sua scrittura, uguale!
Ma come fai, è uguale,
tale e quale Vivaldi! Stai
attenta, conosci le punizioni.
LAVINIA
Sai che paura!
Ma come riesce Vivaldi a
scrivere con questa spinetta?!
Tutta stonata! Un convento di
Tirchie: dicono, dicono, e poi….
Per la musica non spendono niente.
ORSOLA
(imitando la voce della Priora, ridendo)
Domani, domani, quella nuova
la compriamo domani.
LAVINIA
(secca, troncando il gioco)
Domani! Impara quest’aria
è il mio ritratto, il mio regalo.
(Anche Lavinia e Orsola scappano giù per la scala, a raggiungere le altre. Uscendo, Lavinia prende i fogli di musica. Lontani, i richiami dei vogatori.)
Non ti spaventavi mai. Se ti punivano, alzavi gli zigomi, chiudevi gli occhi e ridevi, bella e superba. Ma quella volta è stato troppo, troppo davvero!
Vivaldi sta scrivendo un nuovo oratorio per la festa dell’Ascensione, quando anche il Doge veniva a sentirci: il giorno più importante dell’anno per l’Ospedale della Pietà e le sue pute musiciste e cantanti.
Però Vivaldi non é a Venezia, lavora per i principi di Mantova e manda la musica con il corriere a cavallo.
La Priora la legge e dice che é la migliore mai scritta per noi. E anche il nostro maestrino, ti ricordi, padre Sotirio, è così contento che per la prima volta la musica gli piace più dei nostri sederi.
Tu alle prove non vieni mai. Te ne stai nascosta, da sola, ti cercano e quando ti fa comodo dici che sei malata. Non vieni neppure quando tocca a me cantare, o forse mi ascolti, invisibile, l’orecchio appiccicato dietro alla grata…
Tutto è fissato: il Doge apre per noi il suo giardino sulla riva della Salute, Angelica studia le arie nuove di Vivaldi, che torna apposta per quella occasione. Dovevi cantare tu, ma sei così superba che non vuoi mai cantare, in pubblico… per me, qualche volta.
SCENA QUARTA: IL TURCO
Le barche sono pronte, tu arrivi all’ultimo istante, al tuo modo, improvvisamente, ma come fossi stata sempre lì. C’è vento, i tuoi capelli neri sembrano volar via, precederti. Le più piccole gridano, hanno paura delle onde, recitano avemaria. Le grandi cantano, io guardo te che avevi visto quella vela, venuta a prenderti.
(La vela attraversa di nuovo la Laguna e la nebbia.)
LAVINIA
La barca ha sciolto l’ancora,
la vela ha attraversato il mare, ora conoscerò
il mio mistero. Mi prenderanno
quelli che mi hanno lasciata, appartengo a loro.
Tornare lì, da dove sono venuta.
Un altro anno, non saremo insieme.
“Un altro anno non saremo insieme”… e continui a guardare quella vela rossa, con un sole nero al centro e una luna d’oro in alto. Anche quando i ragazzi si buttano in acqua, spariscono sotto le nostre barche ed escono fuori dall’altra parte, mezzi nudi, e ridono e noi a spiarli con la coda dell’occhio, da diventar strabiche, e parliamo di dove andare quando le suore non ci avrebbero più tenute. “Io ho già il marito pronto”, ti ho detto per farti diventare gelosa, ma tu ancora ti sei voltata verso quella vela: “Dopo la Laguna, dopo il mare, c’è una pianura che non finisce mai e dopo quella pianura delle montagne dove la neve non si scioglie mai e dopo quelle montagne c’è il mio paese”. Ti faccio scendere, ti tiro via dalla barca, da quell’uomo che è venuto a cercarti. Straniero, ma non per te.
Così alto, così grande che se stava col piede sinistro sul bordo della sua barca, col destro arrivava a metà della fondamenta, quasi non ci faceva passare.
(Il Turco, la sua barca, quella fondamenta di Venezia che affaccia sul canale della Giudecca, all’altezza della Salute. Il Turco ha un vestito d’oro, dei campanelli alle orecchie, una smorfia gli ride sulla faccia enorme, “sui baffi come la pece”. Lavinia lo guarda e si ferma, lui risponde come assentendo.)
CORO
Ti conosce? Perché lo guardi? Ti ha visto, chi è?
Tose coré, sbrighéve… Lavinia, lassa perder Ali Babà, vien con noi altre, vien qua.
Passa avanti, non fermarti.
Che mustaci, che oci, che mani. Nero e vestio de oro. Che omo, che grando! Do metri, cussì alto da tirar il collo per vederlo tutto.
Lavinia, non perderti, è questo il tuo mare, questo!
LAVINIA
Di là da questo mare, la mia luna,
la terra che non conosco, la mia storia
Mi vestirò da uomo, farò
il pastore, dormirò sotto il sole
e la luna della mia terra. Carovane,
orizzonti, montagne che ascoltano, rispondono,
pianure che non finiscono.
Mangerò radici che sanno di miele,
erbe che salvano, carni dure
e profumate: saprò chi sono.
Non più straniera, se mia madre
mi attende, ancora.
CORO
Vien via, scampa, dove ti vol andar!? Lavinia, vien dentro – resta a Venexia, no farne paura – la to’ casa xe questa, la strada xe scura, desmentega el Corno d’oro, Istanbùl – mamaluchi e babù – i xe diavoli, der Teufel sicherlich, no i fa par ti – varda el Leòn, San Zaccaria – vien, cori qua dentro, seremo la porta, resta sicura, el Turco te speta, vol farne paura.
Vien via, vien via, vien co’ noi altre, dai, scampa, adesso!
Quel giardino da ricchi, pulito come uno smeraldo. L’erba fina, il prato, un melograno, e tu subito hai allungato la mano, un piccolo bosco, una fontana, cespugli di rose, gelsomini di Spagna, un gran caldo: le sorveglianti sedute sulle panche, all’ombra… non sorvegliavano nulla!
La Priora era entrata in un padiglione, con Candida la sciancata; la seguiva sempre, la favoriva sempre.
Poi, Angelica ha iniziato a cantare. Musica da teatro, piena di seduzioni, di promesse, e invece doveva essere da chiesa, quel giorno, col doge, la priora, il cardinale e tutti i preti di Venezia che si erano dati appuntamento lì! E il maestro, don Antonio Vivaldi in persona, che era ritornato apposta e aspettava di sentire cosa eravamo state capaci di fare, studiando la sua musica senza di lui…
(I presenti rendono omaggio al Doge, alla Priora e naturalmente ad Antonio Vivaldi, venuto apposta.)
… Lei cantava e io l’accompagnavo, in quella musica nuova, così bella che tutti dicevano non aveva mai scritto niente di meglio. Movendo i tuoi occhi color della notte mi dicevi che stavo facendo bene e più me lo dicevi meglio suonavo, e suonando ti guardavo perché mi piaceva piacerti Quando attaccava Angelica sorridevi nell’unico modo che sapevi sorridere, tirata, con le labbra chiuse. Te l’hanno chiesto di sicuro, ma nemmeno quel giorno, superba come sei, hai voluto cantare. Tutto il merito ad Angelica, ma sapevamo bene che tu cantavi meglio, se volevi.
SCENA QUINTA: LO SCANDALO
(Dopo che gli strumenti si sono accordati, la solista del coro attacca un’aria di carattere profano, guerriero, poco adatto all’occasione.)
ANGELICA
Che d’un regno al dolce aspetto
Le procelle più funeste
Sono oggetti di conforto.
Lavinia, Lavinia….
È la tua musica!
LAVINIA
Forse… Ascoltiamo….
ANGELICA
L’alma mia fra le tempeste
Ritrovar spera il suo porto,
Di costanza armato ho il petto…
(Irrompe improvviso lo sconcerto del coro; la musica si spezza, l’aria di Angelica si inceppa, si ferma, anzi viene fermata dal caos che si scatena, sovrapponendo voci, grida, canto: quella musica non è di Vivaldi.
Il Doge si alza, la Priora urla, Vivaldi tace e guarda Lavinia, che piange di felicità. Orsola e Zanetta si preoccupano per lei, pensando alla punizione immancabile.)
ORSOLA, ZANETTA
Varda la Priora… Attenta Lavinia!…
PRIORA
Angelica fermati! Fermati,
cosa canti? Che musica è questa?
Don Antonio, come ha osato?
Per una sacra funzione!
Non siamo in teatro!
VIVALDI
Ma non è mia, non mi pare, senz’altro no! Una musica direi alla turca, sì un qualcosa d’oriente.
PRIORA
Che scandalo…
Ma chi, chi ha osato? Lavinia, cercate
Lavinia, immediatamente!
(Vivaldi, che non le presta troppo ascolto, va ad una spinetta vicino e comincia a cercare gli accordi, la melodia appena sentita, che una parte dell’orchestra continua a suonare, mentre Angelica non sa bene che fare, se tacere o proseguire.)
VIVALDI
Bella, un gran carattere, riconosco qualcosa, di mio
(rifà gli ultimi versi dell’aria, inciampando un po’)
“L’alma mia fra le tempeste/ Ritrovar spera il suo porto,/ Di costanza armato ho il petto…”. Funziona, mi piace!
(alla Priora)
No, badessa, direi proprio che non è mia, no!
(continua a canticchiare quei versi)
… O almeno non me la ricordo, ne scrivo così tanta.
(come accorgendosi ora dell’aspetto di scandalo della faccenda)
Spacciare per mia una musica non mia. Ma se non è mia, anche se assomiglia alla mia, chi l’ha scritta? Non sarà uno scherzo di un collega, Bach, Porpora, oppure di qualche cantante? Le inventano tutte per farsi notare!
CORO
(con crescente agitazione e confusione, ma si distinguono sempre gli imperativi “obbedienza” e “rispetto”)
Obbedienza alla Priora – Lavinia subito dalla Priora, di sopra – Maria Vergine che scandalo, che peccato! Lavinia corri, ma chi ha scritto la musica! Sei stata tu? Vivaldi non la conosce, il Doge è furioso – al Doge obbedienza – a Vivaldi rispetto – alla Priora obbedienza – la funzione a ramengo, Lavinia rispetto, mai successo, che storia!
PRIORA
(a Vivaldi, stracciando il foglio di musica che ha tolto dalle mani di Angelica)
Vi dicevo, maestro che la
ragazza, quella Turca, non conosce
rispetto, non porta obbedienza. La
nostra pazienza è stata derisa,
confusa, adesso vedrà. Sarà
punita, eccome sarà punita!
Che ardire, che presunzione!
CORO
Al Doge rispetto, obbedienza
Alla Priora, a Lavinia, pietà!
VIVALDI
(raccogliendo il foglio strappato)
La Turca, quale Turca?… Questo è proprio copiato, bene però, davvero bene! Questo no, caspita: nemmeno una correzione tutto di getto!
CORO
A Lavinia pietà!
VIVALDI
Lavinia, Lavinia, magari proprio lei, la Turca, come la chiamano… Sempre pronta ad aiutarmi, di giorno e di notte. E come canta! Ma dov’è ora, dov’è?
(Lavinia, nella confusione, dà a Orsola un foglio di musica: è la stessa musica strappata dalla Priora ad Angelica e raccattata da Vivaldi: quel foglio è come un minuetto, cambia partner ad ogni giro. Lavinia tiene in mano quel drappo rosso - la sua ‘firma’, la sua identità - che era affiorato nella nebbia.)
(Ritorna l’immagine del Turco.)
LAVINIVA
Ti aspettavo, sapevo, mi porterai a casa,
la mia, che non conosco ancora.
È finito il mio tempo qui. Torna
la vela che non ho mai lasciato,
la mia storia è con me. Chiama
il vento, signore, andiamo, ora.
Orsola, tu hai il mio
ritratto, tienilo con te, ricordami.
(Lavinia scompare, lasciando il suo quaderno di appunti nelle mani di Orsola che riprende mestamente l'aria di Lavinia.)
Mesta volgendo i passi
Andrò chiedendo ai sassi,
La Madre mia dov’è?
ORSOLA
Dove sarai ora? Sparita come un fazzoletto nel cesto, di colpo, via, lontana. Misteriosa, sempre. Ti cercavano dappertutto, chiedevano a me, non credevano che nemmeno io sapessi niente di te. Dal giardino alle barche, dalle barche alla nostra casa, la Pietà, che brutto nome! Ti cercavano dappertutto, sopra e sotto, in cavàna, nella lavanderia, nell’altana dove ti nascondevi sempre a scrivere la tua musica, anzi quella di Vivaldi: era già successo, solo che quella volta finalmente se ne è accorto. E’ notte, nessuna di noi pensa di dover andare a letto. E la priora non dà ancora l’ordine di suonare la campana del sonno. Cercatela ancora, non può esser sparita, da noi cose così non succedono mai. Mai, quella era la prima volta. Lavinia Domineddio, puta della Pietà, sparita, tornata dove?
SCENA SESTA: LA RICERCA DI LAVINIA
(Ospedale della Pietà. Dalle finestre volano dei fogli di musica, le note diventano delle macchie sull’acqua, stingendosi. Anche Vivaldi è ancora presente.)
CORO
Vien fora, le barche ne speta, coi fioi!
Ti manchi solo ti, no far dispeti!
Orsola, va in giro, cércala, varda dapertuto,
ciamala, Orsola vai!, ciamia, prova de novo, dai!
Lavinia, Lavinia, Lavinia!
PRIORA
Lavinia! Cercate Lavinia!
Suonate la campana, una puta è fuggita.
Scandalo, disonore!
Vergogna della Pietà.
CORO
Vien fora, le barche ne speta, coi fioi!
Ti manchi solo ti, no far dispeti!
Orsola, va in giro, cércala, varda dapertuto,
ciamala, Orsola vai!, ciamia, prova de novo, dai!
Lavinia, Lavinia, Lavinia!
VIVALDI
(con il foglio di musica incriminato sotto gli occhi, suonando, mentre lontane, fuori scena, risuonano le voci del coro delle Pute)
Brava, molto brava. In verità non mi sembra proprio il caso di farne una tragedia, gli allievi hanno sempre copiato i maestri, però bisogna copiare bene… inventare qualcosa di nuovo, mica è facile, complimenti Lavinia la Turca. Dove le avrà imparate, poi, certe melodie, così strane, particolari… e questo violoncello forte, deciso, sfrontato come la sua faccia….
CORO
(fuori scena)
Mille volte 'l dì nasco e mille moro….
Tanto da la salute mia son lunge.
VIVALDI
Questa pagina, se non hai nulla in contrario, me la voglio copiare io, cara la mia Turca… Queste frustate, che energia, che vita!… Certo che li conosci gli strumenti, Lavinia, eccome se li conosci… qui però dovevi continuare: perché hai fatto smettere il violoncello? Dovevi tenerlo, portarlo avanti, così, più forte, mentre gli altri vengono dietro… lui insiste ancora… vedi, c'eri quasi arrivata, poi cosa ti è successo?.. Te lo dico io cosa ti è successo, hai avuto paura della novità, capita, capita spesso, e invece bastava continuare… ecco, così, più duro, l'arco sulle corde, più pressione.. sentito adesso?.. così!… Brava Lavinia, questa pagina però, me la tengo io.
PRIORA
Per tutte un mese di ritiro!
Dov’è il maestro Vivaldi, sarà
furioso. Perderemo i benefici
del Doge! Vergogna! Le turche
bastarde mai più!
CORO
Carità, pietà per Lavinia!
PRIORA
Barbare, coparle da piccole!
Cercatela, cercatela, trovatela!…
Sancta Virgo potentissima…
LE PUTE (MARTINA, IGNAZIA, TODARA)
Ora pro nobis.
PRIORA
…auxilia nos miserrimas
servas tuas…
LE PUTE (MARTINA, IGNAZIA, TODARA)
Ora pro nobis.
ANGELICA, ORSOLA, ZANETTA
Par de qua, i ga visto
un’ombra i ga dito
da drio la porta de la calle,
de là i ga dito, un’ombra
che scampava.
Mater purissima…
LE PUTE
Ora pro nobis.
PRIORA
Rosa aulentissima…
LE PUTE
PRIORA
Mater coelestissima…
LE PUTE
PRIORA
Turris eburnea…
LE PUTE
Ora pro nobis.
PRIORA
Turris davidica…
LE PUTE
Ora pro nobis.
ANGELICA, ORSOLA, ZANETTA
Coré de soto, coré
de suso, vardé fora,
cerché dentro, trovémola,
Lavinia! Cosssa nasse, Maria…
Virgo prudens…
LE PUTE
Ora pro nobis.
PRIORA
Spes aeterna…
LE PUTE
Ora pro nobis.
PRIORA
LE PUTE
PRIORA
Mater sine tabe originali concepta…
LE PUTE
TUTTE
Lavinia, vien fora,
de Dio!
SCENA SETTIMA: IL RICORDO DI LAVINIA
(come parlando a Lavinia e soltanto a lei; è passato del tempo, tutto si è placato)
Anch’io sono andata via dalla Pietà. Sono la moglie di un pescatore…
Iseppo, lui, il riccetto moro che era venuto quel mattino vogando davanti alla riva della Pietà, ti ricordi?.. Mi sono sposata dopo che tu sei partita: “Un altr’anno non saremo insieme”, l’avevi detto. Anche don Antonio Vivaldi ha lasciato Venezia, non si sa bene dove sia sparito, ho sentito dire che è morto lontano, povero, cercando di vendere della musica nuova, musica sua, che però non piaceva…
Quando vien sera guardo da quella parte della laguna da dove entrano le navi e penso al giorno che sei andata via. Lo straccio rosso della vela, la tua vela, è ancora nella tasca cucita dentro la camicia bianca? Io, il mio anello col doppio cuore trovato sulla ruota dove mi hanno presa le suore, sì. Anche la tua musica è ancora qui, l’ho salvata, ce l’ho io il tuo quaderno: il tuo ritratto, Lavinia Domineddio, Lavinia del coro che non hai mai cantato nel coro, ma una volta soltanto per me, quando hai finito di scrivere la musica di Vivaldi che non era di Vivaldi. Angelica adesso canta nei teatro, e prima di andare via dalla Pietà mi ha scongiurato di fargliela copiare, per lei, ha detto, solo per lei…. Adesso dirà che è roba sua, si farà bella con la tua musica. Ma a chi la porti adesso, chi canta la tua musica?
Sarai ancora magra, sarai vestita da pastore, guarderai la notte cantando… sentirai ancora l’odore di questo mare, mi ricordi mai Lavinia? Come ti chiami adesso?
(Orsola sfoglia il quaderno di Lavinia)
"Senti la tristezza del ramo che si secca
della stella che muore
dell’animale malato,
ma se non senti la tristezza
dell’uomo...
I beni del mondo ti danno gioia
l’ombra e la luce ti danno gioia
le stagioni ti danno gioia,
ma se l’uomo non ti dà gioia,
che gioia è?"
(Ritorna il coro con le voci che cercano Lavinia: adesso sono più sommesse, più lontane, come in eco. Ma l’ultima musica, l’ultima voce che si sente è la sua, lontana, svanendo, sopra il canto di Orsola e della Priora.)
CORO
Vien fora, varda de sora. - L’avé vista? Versi la ciesa, sera le porte che non scapa via… - Maria che disgrassia… - Vardé in cavàna, coré in altana, cerca in cucina, in letto, in cantina… - L’avé vista? Vista, dove?..
ORSOLA
Senti la tristezza del ramo che si secca
della stella che muore
dell’animale malato,
ma se non senti la tristezza
dell’uomo...
I beni del mondo ti danno gioia
l’ombra e la luce ti danno gioia
le stagioni ti danno gioia,
ma se l’uomo non ti dà gioia,
che gioia è?
PRIORA
Lavinia, Lavinia….
LAVINIA
L’alma mia fra le tempeste…
Un altr’anno non saremo insieme,
Un altr’anno….
creato: | venerdì 16 maggio 2008 |
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modificato: | venerdì 16 maggio 2008 |