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La Gioconda

Caratteristiche: La Gioconda è un'opera di Amilcare Ponchielli su libretto di Arrigo Boito (firmato sotto lo pseudonimo e anagramma di Tobia Gorrio).
Prima rappresentazione: l'opera debuttò al Teatro alla Scala di Milano l'8 aprile 1876. Sul podio salì Franco Faccio, il più celebre direttore d'orchestra italiano di quegli anni.
 
Trama:
L'azione si svolge nella Venezia del XVII secolo.
Atto I - La bocca del leone-
Mentre il popolo festante, che affolla il cortile, si dirige alla regata, Barnaba - informatore del Consiglio dei Dieci che si finge cantastorie - spia, nascosto dietro ad una colonna, Gioconda che conduce in chiesa la madre non vedente. L'uomo è innamorato di Gioconda, ma, dopo l'ennesimo rifiuto di lei, medita di vendicarsi sulla Cieca. Il popolo ritorna dalla regata: il regatante Zuané è il perdente. Barnaba gli si avvicina e gli insinua il dubbio: che sia stata una stregoniera a farlo perdere? Barnaba allora accusa la Cieca. La calunnia si diffonde tra il popolo, che si scaglia contro la donna. Né Gioconda ne l'uomo di cui è innamorata, Enzo, riescono a sottrarla alla folla; allora intervengono Laura Adorno (di cui Enzo è innamorato) e suo marito Alvise Badoero, nobile e inquisitore di stato. Laura intercede presso il marito, che riesce a salvare la Cieca che, riconoscente, dona a Laura un rosario. La folla si disperde. Barnaba si avvicina ad Enzo, che ha riconosciuto l'amata Laura, e lo chiamo col suo vero nome, rassicurandogli che con lui il suo segreto è salvo, e gli rivela che questa notte Laura fuggirà con lui. Enzo, riconoscente, chiede il suo nome: Barnaba rivela la sua vera identità e che ha fatto tutto ciò per poter essere amato da Gioconda: Enzo fugge, inorridito. Barnaba, rimasto solo, detta allo scrivano Isépo una denuncia che accusa entrambi gli amanti e la inserisce nella bocca del leone, mentre Gioconda, nascosta dietro ad una colonna con la madre, ode le accuse e osserva l'atto della delazione. Uscito di scena Barnaba, un popolo festante entra nel cortile  improvvisando una furlana, ma i festeggiamenti vengono interrotti dai cori dei fedeli che giungono dalla basilica. Mentre si ode l'inno, Gioconda, disperata, lamenta il suo destino. La madre cerca di consolarla, ma Gioconda è decisa: quella stessa notte, anche lei salirà sulla nave di Enzo.
 
Atto II - Il rosario-
E' piena notte e un brigantino attende alla fonda presso la bocca della laguna di Venezia detta della Fusina. Nelle immediate vicinanze un'isola deserta. I marinai dell'Hècate attendono ai loro compiti cantando una marinaresca mentre Barnaba, fingendosi un pescatore, spia, presso l'isolotto, la nave del genovese dopo aver inviato Isépo ad avvertire il naviglio veneziano. Appresso entra in scena il principe Enzo, e manda sotto coperta i marinai perché veglierà lui per quella notte. Enzo attende trepidante l'arrivo di Laura fino a che Barnaba accosta la barca alla nave conducendo l'amante di Enzo. Laura sale a bordo, ma appare allarmata per il sinistro augurio del pescatore. Ma quello «è l'uomo che ci aperse il paradiso!» ribatte Enzo e subito la rassicura. I due amanti si scambiano dolci parole fino a che non tramonta completamente la luna, al ché Enzo si allontana sotto coperta per cercare qualcuno che conduca la donna di nuovo a casa. Mentre Laura sta sola, prega la Madonna per la complicata situazione in cui si trova. All'udir le ultime parole della preghiera di Laura, Gioconda esce dall'oscurità e l'aggredisce minacciandola di ucciderla se non scapperà. Laura afferma che il suo amore è più forte di Gioconda. Gioconda allora minaccia di ucciderla o di consegnarla al marito, che sta giungendo su una barca. Laura alza il rosario, spaventata, e Gioconda la riconosce come la donna che le ha salvato la madre, e la fa fuggire. Laura, confusa, domanda il nome della salvatrice, Sono la Gioconda risponde l'altra. Barnaba per un attimo ricompare in scena, accennando ad Alvise di seguire la barca sulla quale fugge Laura. Tornato Enzo, che cerca Laura sull'isola, Gioconda afferma che Laura è fuggita per paura. Enzo, sdegnato, corre verso la riva per seguire la donna amata, ma Gioconda lo ferma e lo avverte del pericolo delle galee veneziane. Il genovese, pur di non farsi prendere, dà fuoco alla nave.
 
Atto III - Il narcotico o la Ca' d'Oro
Scena I: Alvise scopre il tradimento di Laura e medita di ucciderla. Dopo averla chiamata, la lusinga nascondendo a malapena la sua ira. Laura, insospettita, gli chiede il motivo di tanta ironia cruda. Alvise, al massimo dell'ira, la costringe a dire la verità, e poi le urla che morirà subito. Mentre Laura lamenta il suo destino, Alvise le mostra la sua bara. Da fuori risuona la canzone del popolo che si sta avviando alla festa. Alvise la obbliga a bere un veleno prima che il canto giunga alla sua ultima nota, ma di nascosto Gioconda sopraggiunge e convince Laura a bere un'altra boccetta, che contiene un potente narcotico che della morte finge il letargo. Dopo averlo bevuto, Laura entra nella camera mortuaria e si distende sul catafalco. Entra Alvise e, osservando la boccetta vuota, si convince che la donna è morta. Gioconda invoca la madre, e afferma che l'ha salvata solo per amore di Enzo.

Scena II
: Nel palazzo si svolge un ricevimento durante il quale gli invitati inneggiano alla Ca' d'Oro. Alvise ha fatto allestire per loro lo spettacolo della Danza delle ore.Sopraggiunge Barnaba, che di nuovo accusa la Cieca di stregoneria. Per le strade riecheggia il suono funesto della campana dei moribondi, e Barnaba svela ad Enzo la morte di Laura. Enzo si smaschera davanti a tutti quanti, Alvise ordina di arrestarlo e gli preannuncia una agonia dolorosa nel carcere, e i convitati della festa lamentano il finale tragico della festa. Alla fine, Alvise mostra a tutti il corpo, apparentemente senza vita, di Laura. Enzo fa per aggredirlo, ma viene fermato dalle guardie e arrestato. Nello sconcerto generale, Barnaba rapisce la Cieca.

Atto IV
- Il canal orfano-
Un dolce e malinconico preludio apre l'ultimo atto. Gioconda è sola, e attende l'arrivo di qualcuno. Arrivano gli amici cantori, che portano il corpo di Laura, trafugato dalla cripta. Gioconda supplica i cantori di cercarle la madre e di raggiungerla a Canareggio. Rimasta sola, la donna medita il suicidio, ma rinuncia subito perché Laura ed Enzo non potrebbero più scappare. Ma Gioconda dubita che Laura sia ancora viva, e decide di liberarsene, ma viene interrotta da due voci dal canale lì vicino che segnalano la presenza di un cadavere nella laguna. Gioconda inorridita si blocca e invoca la pietà dell'amato per ciò che ha fatto. Proprio in quel momento sopraggiunge Enzo, liberato da Barnaba grazie all'intercessione di Gioconda. Enzo è disperato, vuole raggiungere il sepolcro di Laura e uccidersi, ma Gioconda dice di averla rapita. Enzo, furibondo, cerca di farsi dire dove l'ha nascosta. Alla resistenza di Gioconda, fa per ucciderla, ma in quel momento si risveglia Laura, che lo chiama. Gioconda, soppraffatta dalla vergogna, si nasconde, ma Laura rivela all'amato che lei le ha salvato la vita. Enzo la benedice, mentre compare la barca dei cantori cantando la Serenata. Gioconda rammenta la canzone e il rosario donato a Laura dalla madre: rinnova la benedizione su Laura, e la fa fuggire sulla barca con Enzo ad Aquileia. I due giovani, commossi, la benedicono mentre si allontanano. Gioconda, disperata, prende il coltello, ma si ricorda della madre, e anche del patto fatto con Barnaba. Fa per scappare, ma entra subito qualcuno, che è appunto Barnaba. È il momento di pagare il prezzo: la cantatrice ha promesso in cambio il suo corpo a Barnaba, che la invita a rispettare il patto. Ma dopo averlo lusingato, si accoltella sul più bello. Barnaba, beffato, vuole vendicarsi rivelandole che le ha appena ucciso la madre. Ma è tardi: Gioconda è già morta. Dopo aver emesso un alto grido di rabbia Barnaba scappa per le calli, mentre l'orchestra bruscamente chiude l'opera.
 
Con la sua drammaturgia sontuosa, spettacolare, ricca di danze (tra cui la celebre Danza delle ore), effetti e di colpi di scena, La Gioconda è considerata il prodotto più tipico e rappresentativo del genere della grande opera, che il melodramma italiano aveva importato dalla Francia sul modello del grand opéra. Il libretto di Boito le conferì tuttavia tratti non convenzionali, sia nella versificazione che nel taglio drammaturgico, e un'impronta del tutto originale.
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Proprietà dell'articolo
creato:venerdì 8 febbraio 2008
modificato:lunedì 11 febbraio 2008