Candide
Nell’anno che precedette il trionfale successo di West Side Story, Leonard Bernstein e la scrittrice Lillian Hellman si lanciarono nell’azzardo di tradurre in musica per il teatro popolare un capolavoro della letteratura polemica illuministica come il Candide ou L’Optimisme di Voltaire (1759).
Fu un sostanziale insuccesso, cosa però che non impedì a Bernstein di riprendere questo titolo fino all’ultimo, con varie modifiche e aggiunte (la seconda versione debuttò il 18 dicembre 1973 al Chelsea Theatre Center of Brooklyn, New York; la terza a Glasgow, Scottish Opera, 1989). La partitura del Candide appartiene alla serie di capolavori che non sono classificabili entro alcun genere, come Il viaggio a Reims di Rossini o Les Contes d’Hoffmann di Offenbach. Candide accoglie in sé una moltitudine di stili e caratteri che si reggono tra loro in bilico tra l’allegria spensierata dell’operetta, il turbinìo spettacolare del musicale, il profondo lirismo del teatro musicale classico. Lillian Hellmann e i molti scrittori che negli anni contribuirono alla versificazione del libretto hanno sostanzialmente mantenuto intatto lo schema della vicenda, così come il succedersi dei personaggi del romanzo di Voltaire, che qui diventa il narratore degli eventi.
Al vorticoso succedersi degli avvenimenti corrisponde un tour de force compositivo che solo un ingegno di pirotecnico virtuosismo quale Bernstein poteva portare a buon fine. Nei ventisette numeri musicali in cui è articolato, Candide rimane, sotto l’apparente leggerezza dell’ironia, uno dei più amari commenti all’ipocrisia con cui la cattiva coscienza del mondo si rappresenta, cercando di nascondere l’autentica natura delle azioni dell’uomo. Sotto il profilo musicale, è da segnalare la brillante e felicissima ouverture, entrata ormai stabilmente anche nel repertorio sinfonico delle grandi orchestre.
Trama: Candide è un giovane ingenuo, formato dal suo maestro Pangloss nella convinzione che la razionalità divina procede sempre verso il bene, e che dunque qualunque cosa accada viviamo nel migliore dei mondi possibili. Alloggiato in Westfalia nel castello del barone Thunder-ten-Tronckh, Candide viene scacciato per averne baciato la bellissima figlia Cunegonda, di cui è perdutamente innamorato. L’espulsione lo salva dallo sterminio perpetrato nel castello dagli invasori bulgari, cui si era aggregato inconsapevolmente. Disgustato dagli orrori della guerra di religione, fugge nella permissiva Olanda dove incontra il vecchio maestro Pangloss, ora mendicante e afflitto dalla sifilide attaccatagli dalla damigella della baronessa, Paquette. Un ragionevole e buon anabattista li accoglie e li imbarca con sé verso Lisbona, ma in vista della città una tempesta affonda la nave e l’anabattista annega. Allo stesso tempo un violento terremoto rade al suolo la città. Pangloss, salvatosi con Candide dal naufragio, non si salva però a Lisbona dall’autodafé, in cui viene impiccato per aver professato la sua convinzione filosofica secondo cui, malgrado le apparenze, tutto al mondo va per il meglio. Candide se la cava con una manciata di frustate e ripara a Parigi, dove ritrova Cunegonda, scampata al massacro del castello e ora concubina in comproprietà di un ricco mercante ebreo e del cardinale di Parigi. Sorpreso nell’appartamento di Cunegonda di sabato, giorno in comune ai due protettori, Candide è costretto a ucciderli e a fuggire, assieme all’amata e alla vecchia mezzana. Arrivati a Cadice, derubati di tutto, sono tirati fuori dai guai dal meticcio Cacambo, che riesce a far arruolare Candide come ufficiale delle truppe in partenza verso il Nuovo Mondo per difendere i gesuiti dai massacri dei missionari protestanti. A Buenos Aires i tre ritrovano, nel palazzo del governatore, Paquette e il bel Massimiliano, l’altro figlio del barone, messi in vendita come schiavi. Il governatore, che si era confuso circa il sesso di Massimiliano, avrebbe voluto impiccarlo, ma un gesuita lo convince a risparmiare un così bel giovane, argomentando che poteva tornare utilissimo per i confratelli che vivevano nella giungla. Il governatore rivolge quindi le sue attenzioni a Cunegonda, e ne diviene l’amante con la promessa fasulla di sposarla. Nel frattempo la vecchia mezzana convince Candide che conviene abbozzare e partire per la foresta a compiere il suo dovere di soldato. Dopo molte peripezie Candide, con il fedele Cacambo, si imbatte in Massimiliano e Paquette, divenuti nel frattempo un padre e una madre superiora, a cui rivela che Cunegonda è ancora viva e che l’avrebbe sposata appena possibile. L’antica arroganza aristocratica di Massimiliano ha il sopravvento, e questi aggredisce Candide, che è costretto a uccidere il potenziale cognato. Infine Candide e Cacambo arrivano nel paradisiaco Eldorado, dove vengono invitati a rimanere. Ma l’amore per Cunegonda è più forte, e Candide, ricevuto in dono un gregge di montoni d’oro, si incammina per il viaggio di ritorno. Solo due montoni sopravvivono: uno lo tiene Cacambo per riscattare Cunegonda dal governatore, l’altro viene scambiato da Candide, su cui pende una taglia per l’assassinio dell’arcivescovo, con una nave per raggiungere Venezia, dove si sarebbe dovuto ricongiungere con Cunegonda. La barca naturalmente affonda nel giro di poco tempo, e Candide si salva ritrovando miracolosamente uno dei suoi montoni d’oro. In mezzo al mare, avvista una zattera dove stanno cinque re deposti e uno schiavo denutrito ai remi, che altri non è che il dottor Pangloss. I sovrani fanno voto, se mai toccassero terra ferma, di condurre una vita umile e devota. Come i naufraghi sbarcano a Venezia, le teste coronate si precipitano al casinò, controllato dal capo della polizia e gestito da quel Massimiliano che Candide credeva di aver ucciso. A Venezia ci sono anche Paquette, prostituta d’alto bordo, e Cunegonda, impiegata al casinò come entraîneuse. Pangloss, vinta una somma al gioco, invita da loro due prostitute, che, sebbene mascherate, Candide riconosce come la sua amata Cunegonda e la vecchia ruffiana. Finalmente consapevole della realtà, Candide si chiude per molti giorni in un muto silenzio. Gli ultimi denari vengono spesi dalla compagnia per comperare una piccola fattoria fuori Venezia, dove comunque ciascuno brontola scontento. Candide sposa Cunegonda: «Non siamo saggi, e puri nemmen: / Ma il meglio vogliam dar; / E adesso questo nostro terren / Dobbiamo lavorar».
creato: | martedì 29 gennaio 2008 |
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modificato: | martedì 6 maggio 2008 |